Crisi di panico e stati di ansia.
Ormai tutti sappiamo grazie a internet quali sono le caratteristiche diagnostiche dell’attacco di panico.
Sappiamo del cuore che comincia a battere all’impazzata, del respiro che diventa corto, dello stato di vertigine e soffocamento e della sensazione di poter morire da un momento all’altro. Sappiamo persino di quel fenomeno difficile persino da pronunciare che è la depersonalizzazione. Conosciamo le sensazioni che provoca e le paure che attiva e sappiamo ragionevolmente che il panico non può ucciderci. Eppure per quanto le immediate evidenze della ragione siano a portata di mano, quando la paura di poter stare ancora male diviene ansia e l’ansia si trasforma in panico, tutto crolla e le certezze vengono meno. Nella maggior parte dei casi la persona che ha sperimentato un AdP si ritrova a vivere un costante stato di paura e ipervigilanza nell’incertezza che tutto ciò possa nuovamente ripetersi . La sensazione è quella di costante preallarme che costringe ad estenuanti manovre di evitamento, panificazione e controllo di tutto ciò che è avvertito come pericolo.
L’esperienza del panico spesso costringe a modificare tutta una serie di comportamenti e situazioni che generano nuovi problemi e nuove difficoltà. Dall’impossibilità a rimanere soli, alla difficoltà di lasciare o allontanarsi da luoghi sicuri, dalla sensazione di poter soffocare al terrore di poter svenire mentre si guida la macchina, dall’ansia di luoghi affollati e senza via di uscita sino a manifestazioni ipocondriache. Non di rado la persona costretta a convivere con queste costrizioni sviluppa vissuti depressivi o compulsivi che purtroppo peggiorano lo stato delle cose. La terapia breve strategica quindi concentra il protocollo terapeutico sull’attenuazione dei sintomi che degenerano in panico e insiste sulla dismissione di tutte le tentate soluzioni che piuttosto che risolvere strutturano maggiormente il problema.